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Onda vieni

1 C’erano dei giorni che ci si ritrovava tutti e quattro. Era raro, perché Eginardo, che ormai aveva undici anni, si sentiva già di un’altra età, e non poteva immischiarsi con Giovannino, che ne aveva soltanto cinque.
   Così, io, che come età stavo nel mezzo, o giocavo solo con Egi, e la stanza in cui eravamo (la mia camera da letto che era anche quella dei miei genitori) si trasformava, per l'occasione, nel Polo Nord o nella giungla del Centro-Africa, nell’Oceano o negli spazi astrali.
   Oppure stavo con Giovannino (che tutti chiamavamo Nanni) e con sua sorella Ivana, la quale, però, essendo coetanea di Egi, con noi veniva malvolentieri, anzi ce la trascinavamo di peso, ed era un peso non indifferente perché era molto pigra e paffutella e noi la chiamavamo la balena.
   Con Nanni si facevano giochi violenti o dispetti alla gente.
2 In un pomeriggio d’inverno, però, ci ritrovammo tutti e quattro e s’andò all’Ardenza, allegri e saltellanti. Ci andammo con mia madre e con mia zia, quest’ultima di gran lunga più grassa di sua figlia Ivana, che, quanto a peso, come ho detto, non scherzava.
   Ancora adesso mi chiedo, occupando mia zia uno spazio enorme, come facessimo tutti e sei ad entrarci, in quella Seicento.
   A Livorno, in quanto a clima, si sta sempre bene. E, in quei limpidi trasparenti pomeriggi invernali, sovente ci si recava alla Baracchina dell’Ardenza, e mentre le madri s’intrattenevano in cordial conversazione con due loro conoscenti, una gobba e l’altra a collo di giraffa, noi s’andava sul moletto a rincorrerci e a guardare le barche e i pescatori.
   In cima al molo, che era protetto da grossi macigni, attendevamo il tramonto, per cogliere il raggio verde emesso dall’ultimo guizzo del sole che affoga. Il mare era calmo, ma in quel momento, forse la marea, cominciò a muoversi.
   «Deh!», gridò Nanni, «ora si fa veni’ su l’onda!». E sputò in mare. «Sì, sì!», ripetei anch’io, «si fa venire l’onda».
   In meno d’un minuto tutti e quattro, eccitatissimi, si prese a gridare: «Onda vieni! Onda vieni!»
   Non so da quale film o lettura fossimo stati influenzati, ma sicuramente, nel coinvolgimento del momento, ci sentivamo dei maghi (oggi forse si direbbe paranormali, e di sicuro tanto normali non lo eravamo).
   «Bisogna far arza’ ‘r mare, deh!!», urlava a squarciagola Nanni. E vi fece pipì. E sua sorella Ivana: «O scemo! ora lo dico a mamma!»
E poi ancora sputi, e tutti e quattro a urlare: «Onda vieni! Onda vieni!», con enfasi crescente e sempre maggiore partecipazione.

3 Il mare, in effetti, s’andava visibilmente ingrossando, e stavano calando le prime ombre della sera, essendosi eclissato il sole dietro la massa verde-scuro del mare. Ma, a un certo punto, di colpo, senza preavviso, senza vento, senza che potessimo rendercene conto, il mare si allontanò dallo scoglio, si spalancò sotto ai nostri occhi una buca scavata all’improvviso.
   Poi il cavallone che si era così formato, come un gatto che si rattrappisce prima del balzo, dopo un attimo di incertezza, si mise in moto, gonfio e rapido, e in meno di un battito di palpebre, l’enorme onda si abbatté contro lo scoglio, frantumandosi fragorosamente e infuocandolo di schizzi di schiuma. Mi sentii investito come da una dozzina di secchiate d’acqua gelida, neanche il tempo di rintanarsi dietro al muretto. Ivana e Eginardo, più grandi e dalle gambe più lunghe e svelte, c’erano riusciti, ed erano solamente umidi. Nanni e io, invece, eravamo bagnati fradici, anzi fradici mézzi, che non vuol dire fradici a metà, ma proprio interi, da da capo a piedi.
   Inutile dire le risate e i lamenti, e la paura, non solo del freddo e del’influenza ma soprattutto delle madri. Le quali, dopo che si tornò di corsa alla Baracchina, vedendoci, montarono, com’era prevedibile, su tutte le furie, e ci portarono d’urgenza a casa, sempre tutti e sei in quella Seicento, con mia zia che valeva due e che faceva pendere di sbilenco l’auto tutta dalla sua parte.
di Gianni Nigro

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