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La diga del Vajont

di Gianni Nigro


Beati i mansueti, perché essi erediteranno la Terra.
Lo dice Gesù.
O meglio, l’evangelista Matteo scrive che lo disse Gesù.
Però su questaTerra i Mansueti vengono sfruttati, emarginati, ignorati il più possibile, cercati soltanto per sfruttarli ancora.
I Mansueti vengono usati.
I Mansueti vengono usati, come delle macchine, come gli Smartphone, come i Tablet, come la carta igienica.
I Mansueti hanno una cosa in comune con la diga del Vajont: non si infrangono mai. Stringono i denti, resistono alle provocazioni, ingoiano i rospi, subiscono passivamente, ma si infrangono, non esplodono.
L’onda che inondò i paesi a valle della diga del Vajont, uccise duemila persone o forse più. Ma la diga è ancora lì, a cinquant’anni dalla tragedia. La diga è ancora lì, senza una sola incrinatura. Non ha ceduto la diga, ha ceduto il monte. Un pezzo di monte è franato dentro al lago artificiale e l’acqua del lago, come una gigantesca mostruosa onda, ha saltato la diga. E la diga, a distanza di tanti decenni, è lì, è sempre lì.
E di solito anche la diga della pazienza dei mansueti non si infrange. Magari viene scavalcata dalla ira di altri, ma la diga non s’infrange.
Di solito.
Roby era un mansueto.
Roby ne aveva subite tante, dal padre. Anzitutto Roby e sua madre erano stati portati via dal paesino sul mare dove viveva tutta la loro numerosissima famiglia, nonni, zie e zii, e una ventina di cugini di Roby, cugini ai quali Roby era affezionatissimo, erano i suoi unici amici, i suoi compagni di giochi, coi suoi coetanei giocavano a rimpiattino, a fare i tuffi al mare, a correre al tramonto. Con le cugine ritagliavano per Natale le stelle dorate e argentate. Poi tutti insieme tra Natale e Capodanno, giocavano a carte, a sette e mezzo coi fagioli come fiche.
Ma la smisurata ambizione del padre inscatolò Mary e Roby nella Seicento e li portò a Nord, dove, gettando la famigliola nella fame più nera, il Maestro Vespucci iniziò la sua scalata alla carriera di scultore. Quando però i soldi non bastarono più neanche per comprare una michetta, la madre Mary trovò un impiego, e la sopravvivenza dei tre fu salva.
Il Maestro intanto, scalpellava in casa di giorno. Poi, dalle dei di sera fino a notte, frequentava Galleristi, Mercanti, Critici, e altri Artisti, intrecciando utili conoscenze e aprendosi quelle porte senza le quali anche un genio come Van Gogh morì suicida a 37 anni nella miseria più spaventosa.
Passavano gli anni e il caratteraccio prepotente e repressivo del Maestro, il padre di Roby, avevano fatto di Roby un mansueto.
Intanto, però, Roby era diventato un uomo, si era sposato, aveva avuto un paio di figli, si era separato, aveva divorziato e non era riuscito a combinare praticamente nulla nella sua vita.
Vi racconto che verso l’inizio i ventisette anni aveva iniziato a lavorare presso radio private. I suoi programmini piacevano. Alternava spazi parlati a una canzone. Durante gli spazi parlati Raccontava aneddoti e pettegolezzi dei personaggi dello spettacolo e della musica leggera, ma anche notizie curiose, di cronaca, di scienza e quant’altro. Il tutto sapeva condirlo con molta ironia ed aveva un gran successo.
Tutto ciò lo aveva avuto vita lontano dalla grande città dove viveva il padre. Roby lavorava presso una radio di una cittadina di circa cento mila abitanti, anche se il bacino d’utenza poteva essere teoricamente di almeno mezzo milione di potenziali ascoltatori.
I dirigenti della radio gli proposero un’assunzione a tempo pieno. Era la prima occasione di lavoro della sua vita. Non solo, ma venne proposto anche per la conduzione degli spettacoli che l Radio aveva intenzione di organizzare per le varie feste che si presentavano durante l’anno, tipo Halloween, Natale, Fine anno, San Valentino, Pasqua, 25 Aprile, Primo Maggio e via discorrendo.
Roby stava toccando il cielo con un dito.
Decise che era giusto avvertire suo padre, anche perché fino a quel momento era stato proprio il Maestro che aveva tenuto in vita Roby con l’assegnetto mensile.
Roby, nello studio d’artista pregno di odore di tinte e trementina, espose con entusiasmo questa prima possibilità di lavoro al padre. Il quale, per tutta risposta, scoppiò a piangere.
Roby era, a dir poco, esterrefatto.
Il Maestro aveva la paura, il terrore, di perdere la vicinanza di Roby.
Il Maestro era un Padre Padrone, che però sapeva ricorrere a tutti i trucchi, anche ai più subdoli, per evitare le ribellioni del figlio.
E Roby, lo abbiamo detto, era un mansueto.
Roby, tornò nel suo appartamentino non distante dallo studio del padre. Roby era, a dir poco, sconsolato e sconvolto. Che fare? Rinunciare a una offerta, a quella offerta che gli avrebbe aperto mille altre porte?
Roby era un mansueto. Fino all’esasperazione.
Vedete, se suo padre gli avesse detto NO, forse Roby avrebbe infranto quella diga. Ma il padre era scoppiato a piangere.
Il padre era scoppiato a piangere e basta.
E Roby non se la sentiva di abbandonare il padre, dal quale nel frattempo era stato anche lasciato da Mary.
Insomma per un paio di settimane Roby non si fece vivo con la Radio. Poi telefonò e disse che non sarebbe tornato mai più.
Ne trovò quasi subito un’altra, di Radio, nella grande città. Una Radio che pagava molto bene. E per un po’ furono salvate capre e cavoli.
Ma il Diavolo è sempre in agguato e venne fuori la novità che quella nuova Radio era implicata in un traffico di cocaina.
Insomma, Roby preferì tagliare la corda prima che fosse troppo tardi. Del resto il padre non aveva mai cessato di rifornirlo dell’assegnetto mensile. Anzi, alla notizia che Roby gli restava vicino, l’assegnetto glielo aveva pure aumentato. E quando seppe che Roby non lavorava neanche più nella nuova Radio, glielo aumentò ulteriormente.
Così, riprendendo con poca lena gli studi di Lingue, Roby arrivò a quarant’anni. Sì, insomma all’età in cui la vita ha inizio (dicono).
Ma non iniziò proprio in bel cavolo di niente, anzi, di lì a due anni suo padre morì.
Il Maestro, ormai Artista di fama mondiale, trovò il Capolinea in un tunnel dell’autostrada, in un super tamponamento.
E Roby si ritrovò ereditiero di tutto.
Già. Ma il Grande maestro nulla gli aveva insegnato della gestione di un patrimonio artistico. Tutti i volponi dell’ambiente del padre, con la bava alla bocca, volevano fare con lui L’Archivio Generale.
Tutti i volponi dell’ambiente del padre, con sempre più bava alla bocca, volevano fare un club, l’Archivio, il Catalogo Generale.
Tutti le belve dell’ambiente artistico volevano fare un sacco di cose con Roby, ma soprattutto una: mettere le mani sul patrimonio delle sculture del Grande Maestro.
Dopo alcuni anni di stallo, Roby realizzò due mostre del padre in Musei in Germania, mettendo d’accordo i dirigenti dei due Museo che fino a quel momento si erano odiati da secoli, riuscendo a introdurre un clima più … mansueto, in quella giungla. Alla fine però si sentiva sempre più stressato dai vari clan che lo volevano inglobare.
In un pomeriggio di depressione acuta prese la folle decisione di telefonare ad uno di quei clan, quello che, pur avendolo a sua volta stressato più volte, forse però lo aveva stressato di meno. E, diciamocelo, almeno aveva sganciato dei baiocchi, insomma degli sghei, delle palanche, dei fiorini … beh, aveva tirato fuori dei soldi, aveva acquistato qualcosa.
E … zak! Roby, senza rendersene conto, aveva abboccato, era stato preso all’amo.
Roby, economicamente parlando, era debole. Non aveva più gli assegnetti mensili del padre e i suoi risparmi erano inconsistenti.
Questa debolezza economica di Roby, lo rendeva facilmente preda di chi, col potere del denaro, poteva manovrarlo, ingoiarlo.
Di denaro si vive, è inutile nasconderselo. E Roby aveva una stanza piena di statue d’ogni genere e tipo ma non possedeva denaro, mentre quel clan apparentemente … meno stressante (che da questo momento, per praticità, chiameremo I Falchi, avevano grandi facoltà economiche e bramavano di affondare i denti sulle statue del Maestro defunto.
Fu così che iniziò tra I Falchi e Roby un tiramolla, una specie di storia ad andamento simile alle Montagne Russe (quelle del Lunapark), dove la velocità in discesa diventava vertiginosa, e in salita rallentava fin quasi a fermarsi.
Roby anzitutto ebbe il primo momento di debolezza, e propose una transazione: denaro in cambio di statue.
Roby in realtà avrebbe voluto vendere poche statue e ricevere il denaro secondo mercato. Del resto aveva venduto a un museo in Germania una sola statua e aveva ricevuto una cifra grossa, che chiameremo … cifra X.
Orbene, I Falchi gli offrirono 6 X. Già, ma non in cambio di 6 statue. Macché! & X per 18 statue. Insomma, ogni statua veniva pagata, dai Falchi, un terzo del valore di mercato. Però, dicevano loro, è un acquisto all’ingrosso!
Sì, all’ingrosso! Dapprima pretesero la consegna di TUTTE le 18 statue, in cambio di un anticipo di 2 X. E gli altri 4 X? Gli altri 4 X, se vogliamo continuare ad esprimerci così, arrivarono piano piano … pianissimo, a piccole rate, come fosse una specie di stipendio–elemosina. In pratica ad ogni mese gli davano meno di un decimo di X. E man mano passava il tempo, I Falchi si … dimenticavano il debito, e saltavano un mese.
Roby era un mansueto, e diceva: «Fa niente … se non potete … » Un’altra persona, appena appena meno mansueta di Roby, avrebbe preteso come minimo la firma di cambiali. E poi, comunque, avrebbe dilazionato la consegna sulla base dei pagamenti: 1 X di pagamento, una statua consegnata.
Macché. I Falchi arraffavano tutto, non firmavano niente, e pagavano col contagocce.
Roby, nella sua incommensurabile ingenuità, pensava che dimostrandosi tollerante, avrebbe ottenuto in cambio una maggiore sollecitudine, da parte deli Falchi.
E invece, più Roby era accondiscendente, più era gentile, più era un uomo di stile, e più I Falchi gli ritorcevano addosso le sue stesse frasi. Gli dicevano: «L’hai detto tu che se non potevamo pagarti … se avevamo delle difficoltà … se non disponevamo … ».
E poi Roby scopriva che I Falchi scialacquavano soldi a palate, delle X alla ennesima potenza, per fare feste, manifestazioni pseudo culturali, sovvenzioni di libri e … sì! Non ci crederete! Il Padre della famiglia deli Falchi aveva la mania del violino. Era convinto di essere un novello Paganini. E organizzava dei ritrovi di élite per dei concerti. Naturalmente il solista per eccellenza era lui, il Capo Massimo deli Falchi!
Quando poi proponevano un acquisto di statue a Roby (già, perché le parti si erano invertite: adesso non era Roby a proporre vendite bensì erano I Falchi a proporre, spesso con una certa arroganza e pressione prepotente, acquisti di statue, pagandole sempre meno.
Roby ebbe un grave incidente stradale, in cui l’auto andò sfasciata. Poi gli capitarono diverse altre disavventure, per cui alla fine vendette tutte le statue. I soldi guadagnati non durarono molto e Roby un bel giorno si ritrovò senza soldi e senza statue. Per sua fortuna pochi anni prima un politico illuminato aveva fatto approvare una legge per la quale ogni passaggio di proprietà di un’opera d’arte prevedeva una tassa sulla vendita che veniva gestita dalla Siae che provvedeva a restituirla all’artista o al suo erede. Sulla miseria di quei guadagni Roby, ormai quasi anziano, vivacchiava, meditando di trovare un’attività, magari anche molto umile, che gli assicurasse da vivere.
Bussò alla porta deli Falchi, per vedere se era possibile avere un aiuto, essere assunto o direttamente da loro, magari come aiutante, segretario o qualsiasi altra cosa, o avere qualche altro aiuto.
Ma non c’erano soldi, dissero. E gli sbatterono la porta in faccia. Poi Roby scoprì che stavano organizzando una mega riunione per l’ennesimo concerto.
Roby era solo, tremendamente solo. E ricordò colei con la quale, decenni prima, aveva trascorso mesi e mesi, dalla mattina alla sera, chiusi in macchina, lei a bucarsi e poi a fumare, lui a parlare. Era diventatale sua amica preferita.
Sì avete capito bene, era una tossicodipendente. E per procurarsi i soldi per la droga, potete facilmente immaginarvi quale mestiere praticasse. Era giovane, molto carina, aveva soltanto diciannove anni. Non le era certo difficile fare soldi rapidamente.
Quanti anni erano passarti! Roby ricordava con la massima precisione una frase che lei (che chiameremo … Eli), quando era strafatta, aveva dei momenti di grande generosità, e gli diceva: «se hai bisogno di picchiare qualcuno, non hai che da chiedere. Io ho amici che per pochi soldi ti picchiano chiunque».
Era chiaro che questi suoi amici erano altrettanto tossicodipendenti che, non avendo le possibilità che la natura aveva dato a Eli, dovevano raccogliere il denaro necessario all’acquisto delle sostanze da loro preferite.
Ma Roby era un mansueto e non era mai passato per il cervello di ricorrere a quel tipo di aiuto.
Quanti anni erano passati! Quanti, quanti, quanti anni!
Roby fece un po’ di conti. La matematica era la sua passione e subito arrivò alla conclusione che da quell’anno trascorso sempre assieme erano passati trentadue anni! Quante possibilità c’erano che lei fosse ancora viva? O che avesse ancora quel numero di telefono e che abitasse ancora lì?
Gli elenchi del telefono esistevano ancora, anche se i telefoni fissi venivano usati sempre meno. In pochi secondo Roby trovò il numero. Incredibile! C’era ancora! Stesso cognome, stesso indirizzo.
A Roby la mano tremava, mentre componeva il numero.
Tre suoni.
Tre lunghissimi infiniti interminabili suoni.
Poi qualcuno alzò la cornetta.
«Pronto?», disse, con molta flemma, una voce femminile, la voce femminile di una donna, di una donna che poteva avere all’incirca una cinquantina d’anni.
«Pronto … io sono … sono Roby ...ti ricordi ancora di me?»
Seguì un silenzio infinito.
Finalmente lei disse: «Sì … sì!!! Certo che mi ricordo di te! Come potrei dimenticarti? Tu sei Roby. Sì», si mise a ridere, «coi miei amici ti chiamavamo Roby il mansueto. Anzi, poi, più brevemente, ti chiamavamo il Mansueto. Non ti dispiace, vero? Dai, raccontami di te. E di tua moglie».
«Con mia moglie abbiamo divorziato. Da più di vent’anni».
«E tu cosa fai? Dove sei?».
«Eli», tagliò corto Roby, «ti ricordi quando mi dicevi sempre che se avevo bisogno di picchiare qualcuno … »
Eli si mise a ridere. Poi diventò molto seria. «Roby, tu mi hai salvato la vita. Ti ricordi quando ho collassato? Ti ricordi che mi hai ospitato a casa tua? E mi hai curato, incurante della possibile reazione di tua moglie? E poi ti ricordi quando mi hanno sprangato con una chiave inglese in fronte e grazie a te andai all’ospedale a farmi dare i punti altrimenti mi sarebbe rimasta la cicatrice? Io ti devo tantissimo, Roby. Se vuoi, puoi venirmi a trovare».
«Sì? Certo, ma quando?»
«Non lo so. Sei libero? Sei di nuovo sposato? Io stasera sono libera. E sono sola. Mi farebbe piacere vederti. Ma ora dove sei?»
Roby meditò per cinque secondi, poi disse: «Tra mezz’ora sono da te».


Nei giorni successivi la mente di Roby non riusciva a distrarsi di un millimetro dalla serata trascorsa con Eli.
Rivedeva quel volto magrissimo, segnato dagli anni e dalla malattia. Rivedeva quelle ossa appena ricoperte dalla pelle. Ma gli occhi, gli occhi erano sempre quelli! Bellissimi e sognanti, come quando aveva diciannove anni. Ora però si era aggiunto un elemento: erano occhi spaventati.
Roby le aveva raccontato della sua sfortunata vita. Le aveva detto che tante volte aveva meditato su quella offerta di dare un manico di botte ai suoi nemici.
Eli incuriosita aveva voluto sapere per filo e per segno chi erano, dov’erano, cosa facevano, quali erano le loro abitudini.
«Già», la smorzò Roby, «però le mie sono solo fantasie. Io nella mia mente ho immaginato centinaia di volte di farli massacrare di botte, ma poi lascio perdere, penso ad altro».
«Sì», ammise Eli, «sei un mansueto».
Poi Eli tirò da sotto al divano una specie di zaino sportivo e glielo dette.
«Questo è per te, amico mio. Roby, il mio unico vero amico, l’amico che sempre mi ha dato e non ha chiesto mai nulla in cambio».
Roby era confuso, imbarazzato.
Eli aggiunse: «Se non lo accetti, «mi offendo. Mi offendo veramente». Roby stava per aprire lo zainetto ma la mano magrissima di Eli lo fermò. «No», disse con fermezza. «Guarderai dopo. È solo un piccolo regalino per avermi salvato la vita. E per tutto quello che non ti ho dato a quei tempi».
Nei giorni successivi Roby ripensava in continuazione a quelle parole, a quelle occhiate. Quella sera, quell’incontro, lo tormentavano.
Ci ripensava, vagando con l’auto per le stradine che circumnavigavano i laghi. Era estate e i laghi erano d’un azzurro pieno, sotto al sole, e i fianchi dei monti rigurgitavano di ortensie celesti, rosse, azzurre.
Ora Roby aveva i soldi per la benzina. Erano soldi sporchi? Probabilmente. Eli non aveva specificato niente ma non era difficile capire che aveva fatto carriera, che gestiva un giro di affari molto grosso. E si capiva anche che la sua vita, a causa della malattia, era appesa a un filo, o meglio a quel gruppo di farmaci che aveva intravisto su un tavolino appoggiato alla parete.
Erano soldi sporchi, certamente, ma erano forse più puliti quelli che per anni gli avevano dato i Falchi?
Roby in quei momenti avrebbe voluto essere capace di dire una preghiera per Eli. Ma non sapeva più pregare da tanti decenni.
Fermò l’auto in cima a un Passo. C’era un locale tutto vetri. Entrò e vide che era un self-service. Si servì un caffè lungo e andò a sedersi in un angolo. Gli erano sempre piaciuti gli angoli a vetrate. Dai vetri si vedeva la striscia d’asfalto, qualche auto che passava, qualche motociclista, qualche cicloturista. Al banco c’era una ragazza sulla trentina che gli disse, con accento dell’Est: «Se vuole ci sono i giornali da leggere».
Roby prese un quotidiano locale. Non aveva molta voglia di leggere ma subito lo colpì una notizia.
Ricorrevano i cinquant’anni dalla tragedia del Vajont. C’era la foto, molto inquietante, della diga. La diga era ancora lì. Tanta pressione, poi l’acqua l’aveva scavalcata, ma la diga era ancora lì … mansueta. Roby stava sfogliando annoiato il quotidiano, quando gli occhi gli caddero su una notizia piccola che però lo fece trasalire. Erano loro, sì, proprio loro, i Falchi! I tre principali Falchi! L’articolo diceva che i Falchi, al rientro a casa, proprio davanti al portone di casa, mentre lo stavano aprendo, erano stati aggrediti. Un’auto si era fermata a poche spanne da loro e cinque energumeni ne erano usciti, con spranghe e catene. E avevano massacrato di botte i tre Falchi.
Roby chiuse di colpo il giornale.
Tutto intorno a lui era così tranquillo. La ragazza stava pulendo il banco, sul Passo c’era pochissimo traffico, nel locale, oltre a Roby e la ragazza, nessun altro.
Roby ripensò alla diga del Vajont, che aveva resistito a quella onda micidiale. L’onda aveva oltrepassato la diga e ora la diga giaceva al suo posto, da cinquant’anni, quasi dimenticata. Quasi … mansueta.